Mia nonna materna mi raccontava che ai suoi tempi accadeva tutto nella semplicità, ma in quella semplicità c’era tutto un mondo perfetto, solidale, sereno in cui lei non si ritrovava più, spesso mi prendeva per mano e cominciava a raccontarmi uno dei suoi tanti meravigliosi ricordi portandomi a passeggiare in giardino…
“Tesoro mio sai la domenica bisognava lavarsi bene, pettinarsi bene e mettere vestiti buoni. La domenica per andare a messa bisognava essere tutti in ordine. Succedeva solo alla domenica, gli altri giorni andava bene tutto. Che la maglia non fosse proprio pulita, che avessi o non avessi le calze, che ti fossi bene lavato, pettinato….Gli altri giorni non ci faceva caso nessuno. Si prendeva quello che si era lasciato la sera sul letto della zia Cina (zia di nonna) dove dormivano in tre e con lei, quattro. La sua camera era la prima, salendo le scale, girato a sinistra. Di fianco altre scale salivano al granaio, aveva solo una piccola finestra che dava al monte. Dopo un’altra stanza grande che ricordo sempre coperta da pannocchie di granoturco o da altro quando non c’erano le pannocchie. Vicino alla finestra un armadio sempre piccolo e piccoli vestiti dentro. Pochi , appesi con le grucce di legno e collettini di pizzo allineati da una parte. In quella camera tolto il letto era tutto piccolo. Non c’erano sveglie a misurare il tempo, solo i grilli di notte, nessuna stella perché non si vedeva il cielo e il canto del gallo la mattina prima ancora della luce. In quella stanza il tempo lo segnavano il silenzio, i grilli d’estate e il gallo. Con quello ci si addormentava o ci si svegliava. La zia Cina solitamente era la prima ad alzarsi, poi noi…dopo di lento e leggero non c’era più niente. Maglie raccolte dal pavimento, un paio di pantaloni, scarpe tante senza calzettini perché il paio spaiava sempre nella confusione. Corse di sotto, una tazza di latte e poi fuori.
Solo la domenica tutto cambiava…..
C’era un orario in cui alzarsi, c’erano madri zie a dirti quale camicia, quali pantaloni, quale gonna quali calzettini, mai quali scarpe. Di buone ce n’erano un paio. E poi sempre madri, zie ad obbligarti più acqua e più cura nel lavarti e una zia ( la Cina sempre lei) ci metteva in fila per pettinarci. Per i maschi era tutto più facile, capelli corti, bastava passare il pettine. Per noi femmine era un calvario, capelli lunghi, e quel pettine a districare, a tirare, a legare in fretta senza lamentele. Una volta controllato che tutti fossimo in ordine potevamo scendere in cucina. Proibita ogni corsa nella corte per non cominciare tutto da capo. Il tempo d’attesa lo spendevamo spiando i più grandi, soprattutto le femmine, non capivamo quel cercare nei pochi vestiti, non capivamo l’emozione per uno nuovo comperato al mercato del paese e , soprattutto non capivamo quelle mosse davanti agli specchi spostando i capelli un po’ di qua e un po’ di là. I grandi sembravano prendere gusto in quella perdita di tempo e noi bambini prendevamo gusto di quel loro teatro.
Ultime a prepararsi madri e zie. Ogni domenica alternate per accompagnarci a messa, la strada per arrivare alla parrocchia era lunga, metà strada di campi, poi asfaltato all’altezza di una torre per l’elettricità. Partivamo tutti, piccoli e grandi, tenendo in mano una sporta, dentro le scarpe buone. Ai piedi quelle di tutti i giorni che stonavano non poco con l’ordine di vestiti e capelli. Prima della torre c’era la casa rossa, grande, con il rosso quasi perso nelle piogge e nel caldo. Vicino un rovo di more. Lì nascondevamo i sacchetti con le scarpe vecchie e calzavamo le buone. Dopo era asfalto, sguardi di paese, richiami e quell’andare strano delle cugine più grandi, dritte come scope, con lo sguardo che si abbassava a maschi che non erano della corte e soprattutto con parole che a noi parevano tanto insulse. Stessa cosa per i ragazzi, una spavalderia più studiata e cosi meno vera. Al ritorno al contrario cambiare scarpe, tornare alle vecchie e nel sacchetto quelle buone. Il ritorno era migliore, meno richiami, meno teatro di maschi e femmine, madri e zie distratte in racconti mescolati. Nessuno , però, sembrava stupirsi al fatto di ritrovare le scarpe vecchie, nella casa rossa ci vedevano tutti con i sacchetti, cambiarci e tornare indietro. Ci vedevano tutti ma nessuno ci ha mai portato via qualcosa e non perché valesse poco, perché era cosi. Cosi come i cesti di ciliegie lasciati colmi ai lati dei campi e mai che venisse in mente di prenderne una. Che nostalgia!”
La vita è semplice riempitela di significati….
Buona vita!!!
Daniela Bonati